Le vaccinazioni negli adulti fragili e immunocompromessi

Agnese Giaccone, Ivan Gentile
Sezione di Malattie Infettive – Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia – Università di Napoli Federico II

Perché immunizzare i soggetti a rischio?

L’immunizzazione rappresenta una strategia di prevenzione e controllo delle malattie fondamentale per la salute pubblica globale e che, secondo i dati forniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), permette di prevenire 3,5-5 milioni di morti ogni anno. [1] 

L’immunizzazione della popolazione, oltre a costituire un successo sul piano sociale ed etico, rappresenta un sistema di investimento economico grazie al vantaggioso rapporto costo-beneficio dei vaccini e al loro alto profilo di sicurezza, che permette di ridurre l’impatto sulle preziose – e, purtroppo, sempre più contingentate – risorse della sanità pubblica. 

La prevenzione primaria mediante vaccinazione è essenziale per i soggetti a più alto rischio di contrarre malattie infettive e sviluppare complicanze, come gli individui immunocompromessi o affetti da patologie croniche. Tra le categorie considerate fragili rientrano tipicamente i soggetti anziani, i pazienti oncologici e trapiantati, i soggetti affetti da immunodeficienza primaria o acquisita, i pazienti con asplenia anatomica o funzionale e deficit del sistema del complemento, i soggetti affetti da malattie croniche epatiche, cardiache, polmonari, renali (specialmente se sottoposti a emodialisi) e metaboliche, prima tra tutte il diabete mellito. Questi pazienti, se esposti a rischio infettivo, hanno maggiori probabilità di andare incontro a un peggioramento della loro patologia di base e sviluppare quadri clinici gravi con conseguente ospedalizzazione e persino il decesso.

Quali malattie si possono prevenire?

Ad oggi, esistono vaccini efficaci e sicuri per più di venti malattie infettive potenzialmente letali. Alcune di queste sono più frequenti nei soggetti fragili e immunocompromessi e la loro prevenzione migliora la sopravvivenza e la qualità della vita di questi pazienti.

Influenza. L’influenza è una sindrome respiratoria acuta provocata dai virus dell’influenza, che hanno ampia diffusione in tutto il mondo. I virus influenzali si distinguono in tre tipi: A, B e C, di cui il tipo A viene classificato a sua volta in sottotipi a seconda della combinazione delle proteine di superficie, neuraminidasi ed emoagglutinina, che esprime. L’influenza si manifesta generalmente in maniera lieve, con febbre, tosse, cefalea, mialgie, rinite e faringite che si risolvono spontaneamente in 1-2 settimane. Nei bambini e nei pazienti anziani e fragili, tuttavia, il quadro clinico può essere particolarmente severo e ogni anno nel mondo si contano circa mezzo milione di decessi per insufficienza respiratoria da influenza; il 70-85% avviene nei soggetti di età 65 anni. [2] L’influenza può manifestarsi in forma grave anche in altre categorie di pazienti fragili, in particolari i pazienti con obesità, con malattie neurologiche, polmonari e cardiache, negli oncologici, trapiantati e immunodepressi, nei soggetti diabetici e nelle donne in gravidanza. In questi pazienti, infatti, si verificano più spesso complicanze dirette dell’infezione, come la polmonite da influenza o le sovrainfezioni batteriche, ma altrettanto spesso il virus influenzale provoca un aggravamento delle condizioni cliniche di base, come riacutizzazioni di asma e broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), deterioramento dello stato cognitivo nei pazienti con patologie neurologiche e perdita di autonomia. [3] 

L’influenza costituisce inoltre un trigger importante di eventi cardio e cerebrovascolari. Diversi studi hanno evidenziato che l’incidenza di ischemia del miocardio nei soggetti adulti aumenta di 6-10 volte nei 7 giorni successivi alla diagnosi di influenza, e il rischio di ictus rimane elevato fino a 28 giorni dall’infezione. [4-6] Nei soggetti diabetici, oltre a una maggiore incidenza di polmonite, ischemia del miocardio e sepsi, nel periodo peri-influenzale è stato osservato un aumento del 74% di episodi di scompenso glicemico. [7]

La vaccinazione antinfluenzale costituisce pertanto una strategia di prevenzione in grado di ridurre significativamente la morbosità per influenza e le sue complicanze: è stata riportata un’efficacia del vaccino nella riduzione degli infarti del miocardio del 15-75%, paragonabile ad altri interventi di prevenzione raccomandati di routine come l’utilizzo di statine e farmaci antipertensivi e l’astensione dal fumo di sigaretta. [8] Una revisione sistematica di 15 studi pubblicati tra il 2000 e il 2017 ha riscontrato una riduzione del tasso di ospedalizzazione e mortalità nei pazienti diabetici, specialmente over-65, correlato al vaccino antinfluenzale. [9] Durante la gravidanza l’influenza costituisce una causa frequente di ricovero ospedaliero e insufficienza respiratoria: diversi studi sono concordi nel riportare una riduzione del rischio di malattia respiratoria acuta e ospedalizzazione per influenza del 40-50% nelle donne vaccinate. [10,11]

L’immunizzazione per i virus influenzali, pertanto, è uno strumento altamente costo-efficace e trasversale, e dovrebbe essere offerta a tutta la popolazione ogni anno. Il vaccino, infatti, viene modificato leggermente prima di ogni stagione influenzale per coprire i ceppi (solitamente due del tipo A e due del tipo B) maggiormente circolanti in quel momento. Esistono diversi tipi di vaccino antinfluenzale: il vaccino da virus inattivato ottenuto da colture cellulari (IIV), il vaccino vivo attenuato intranasale, il vaccino a DNA ricombinante, il vaccino inattivato adiuvato, il vaccino ad alto dosaggio e gli ultimi due sono preferibili nei soggetti anziani, fragili e immunocompromessi. [3, 12]

Il vaccino inattivato adiuvato (aTIV e aQIV) contiene l’adiuvante MF59, che ha lo scopo di indurre un’adeguata risposta immunitaria partendo da una minore quantità di antigene. È indicato nei soggetti di età pari o superiore a 65 anni, per i quali a causa del fenomeno dell’immunosenescenza la protezione indotta dai vaccini classici è generalmente più debole. L’immunogenicità indotta dal vaccino adiuvato nei pazienti di età 65 anni si è dimostrata più potente rispetto al convenzionale IIV negli studi real-life, con risultati migliori anche in termini di necessità di cure mediche e ospedalizzazione. [13] Uno studio condotto in Lombardia tra il 2006 e il 2009 ha evidenziato una riduzione del 25% dei ricoveri ospedalieri per influenza e polmonite nei soggetti anziani che avevano ricevuto aTIV rispetto al vaccino da virus inattivato. [14] 

Il vaccino ad alto dosaggio (hdTIV e hdQIV) è un vaccino split quadrivalente che contiene una maggiore quantità di antigene rispetto allo standard (60 µg di emoagglutinina vs 15 µg del IIV  per ciascun ceppo virale), sufficiente a garantire una risposta immunitaria più efficace anche nei soggetti anziani. Nel 2014 sono stati pubblicati i risultati di un trial multicentrico, randomizzato in doppio cieco sull’efficacia di hdTIV rispetto al trivalente IIV in soggetti di età 65 anni, evidenziando un maggiore sieroprotezione conseguente alla vaccinazione ad alto dosaggio e una riduzione del rischio di sviluppare sindromi influenzali del 24,2% rispetto al IIV. [15] Questi dati sono stati confermati in una metanalisi di studi condotta su 45 milioni di pazienti in 12 stagioni influenzali sottoposti a vaccinazione trivalente con virus inattivato a dosaggio standard o ad alto dosaggio, da cui si evince che hdTIV è più efficace nel prevenire la sindrome influenzale così come l’ospedalizzazione e le complicanze ad essa correlate, incluse le ospedalizzazioni per eventi cardiovascolari.[16]Più recentemente, un trial randomizzato in setting real-life condotto in Danimarca nella stagione influenzale 2021-2022 su pazienti di età compresa tra 65 e 79 anni ha dimostrato un’efficacia vaccinale relativa (rVE) di hdQIV rispetto al IIV quadrivalente del 64.4% in termini di ospedalizzazione per influenza e polmonite e del 48.9% in termini di mortalità per tutte le cause. [17] 

Mancano al momento studi comparativi di efficacia su larga scala nei pazienti immunocompromessi. I dati finora a disposizione evidenziano un immunogenicità simile del vaccino adiuvato rispetto al vaccino inattivato a dosaggio standard ed una maggiore immunogenicità del vaccino ad alto dosaggio rispetto al vaccino a dose standard nei pazienti trapiantati. [18] Il vaccino inattivato ad alto dosaggio si è dimostrato efficace anche nei soggetti in terapia con farmaci biologici immunosoppressivi (es. anti-TNF e anti-interleuchine), sottoposti a trapianto di organo solido o HSCT e HIV positivi; rispetto al vaccino inattivato a dose standard, infatti, hdTIV stimola una robusta risposta anticorpale garantendo la sieroprotezione (definita con un titolo 1:40 di anticorpi neutralizzanti l’emoagglutinina) anche nei pazienti immunocompromessi.  [19]      Le linee guida della American society of transplantation infectious diseases community of practice raccomandano la vaccinazione antinfluenzale nei soggetti candidati a trapianto e sottoposti a trapianto. Sulla base dei dati, nei soggetti trapiantati raccomandano l’uso del vaccino ad alto dosaggio rispetto al vaccino a dosaggio standard. [20] Il virus a vaccino vivo attenuato intranasale è sempre controindicato in questo setting. [18]

Herpes zoster. L’herpes zoster è causato dalla riattivazione del virus Varicella Zoster (VZV) appartenente ai virus erpetici, responsabile dell’infezione primaria comunemente nota come varicella. Il VZV è in grado di permanere a lungo in forma latente nei gangli sensitivi del sistema nervoso, e in condizioni di disfunzione del sistema immunitario può riattivarsi sotto forma di eruzione cutanea vescicolare dolorosa, tipicamente unilaterale, particolarmente grave se coinvolge l’occhio (herpes oftalmico) o gli organi viscerali. Si stima che circa una persona su tre sviluppi zoster nell’arco della vita, con recidive dopo il primo episodio in circa il 5% dei casi. [21, 22] Sebbene lo zoster possa verificarsi a tutte le età, più del 50% dei casi si osserva nei soggetti di età superiore a 60 anni o con condizioni di immunocompromissione, come neoplasie, malattie autoimmuni, terapie immunosoppressive e infezione da HIV; questi pazienti presentano inoltre un rischio maggiore di recidiva e di complicanze. [23, 24]  

Uno studio retrospettivo condotto su 51 milioni di soggetti tra il 2005 e il 2009 ha stimato l’incidenza di zoster ogni 1000 persone/anno (PY) pari a 4,82/1000 PY, ma tale incidenza aumenta in determinate categorie di pazienti a rischio, soprattutto i pazienti sottoposti a trapianto di midollo osseo o di cellule staminali, per i quali l’incidenza era circa 9 volte superiore a quella osservata nella popolazione generale (fig. A). [25]

La complicanza più frequente dell’herpes zoster è la nevralgia post-erpetica (PHN), una condizione di dolore neuropatico cronico spesso debilitante che si verifica nel 10-30% dei soggetti e può durare mesi o anni. [21, 24]

Lo zoster si accompagna inoltre a un aumentato rischio cerebrovascolare dovuto al coinvolgimento delle arterie e delle arteriole cerebrali, con insorgenza di ictus ischemico o emorragico, aneurisma, dissecazione arteriosa e trombosi cerebrale. È stato inoltre ipotizzato un ruolo del VZV nella patogenesi dell’arterite a cellule giganti, una patologia infiammatoria che coinvolge le arterie temporali provocando cefalee intense e cecità improvvisa. [26]

Esistono due tipi di vaccini per l’herpes zoster, un vaccino a virus vivo attenuato (LZV) e un vaccino ricombinante (RVZ). LZV è stato approvato per la prima volta nel 2006 sulla scorta di un trial clinico che ha coinvolto oltre 38.000 partecipanti di età uguale o superiore ai 60 anni e non affetti da condizioni di immunodepressione, riportando un’efficacia nella prevenzione dello zoster del 51%. [27] Studi successivi, tuttavia, hanno riportato una drammatica diminuzione dell’efficacia dell’immunizzazione a distanza di anni; [28, 29] questo vaccino, inoltre, è controindicato nei soggetti gravemente immunocompromessi, nei quali l’inoculo di un virus vivo, per quanto attenuato, potrebbe causare malattia disseminata.  [30] RZV coniuga l’antigene, costituito dalla glicoproteina E del VZV, con un sistema adiuvante (AS01B) in grado di attivare precocemente l’immunità innata dell’ospite, stimolando una risposta immunitaria robusta e durevole. [31] Il vaccino ricombinante viene somministrato per via intramuscolare in due dosi a distanza di 1-6 mesi l’una dall’altra, ed è attualmente approvato dall’European Medicine Agency (EMA) per tutti i soggetti di età 50 anni e per i soggetti di età 18 anni con fattori di rischio per sviluppare lo zoster e la nevralgia post-erpetica. [32] Due trial randomizzati e controllati hanno validato l’efficacia di RZV nei soggetti di età 50 anni (ZOE-50) e 70 anni (ZOE-70), confermando una riduzione dell’incidenza di zoster nel braccio dei soggetti vaccinati rispettivamente del 97,2% e del 89,8%, con una riduzione complessiva dell’88,8% di nevralgia post-erpetica nei soggetti di età uguale o maggiore a 70 anni (fig. B e C). [31, 33]

RZV si è dimostrato sicuro ed efficace anche nei pazienti immunocompromessi. Nei soggetti sottoposti a trapianto di cellule staminali ematopoietiche due dosi di vaccino ricombinante hanno mostrato una riduzione del 68,2% di incidenza di herpes zoster a 21 mesi di follow-up; [34] analogamente, nella popolazione affetta da tumori di organo solido in corso di chemioterapia, malattie oncoematologiche o nei pazienti con infezione da HIV, RZV ha mostrato un elevato profilo di sicurezza e una risposta immunitaria umorale e cellulo-mediata efficiente. [35-37] 

Pneumococco. Streptococcus pneumoniae (pneumococco) è il batterio più frequentemente responsabile di polmonite acquisita in comunità, otite media e sinusite; nei casi più gravi può diffondere ad altri siti causando batteriemia, osteomieliti, meningiti e sepsi. La malattia invasiva pneumococcica (IPD) colpisce soprattutto i bambini e gli anziani: nel 2017 in Europa l’incidenza rilevata di IPD negli adulti di età superiore ai 65 anni è stata di 18,9 casi ogni 100.000 abitanti, più del triplo rispetto alla popolazione generale (fig. D). [38] Lo pneumococco presenta oltre 90 sierotipi a seconda dell antigene polisaccaridico della capsula, ma di questi solo 23 sierotipi sono i più comunemente isolati nella polmonite e nella malattia invasiva pneumococcica. 

Esistono due tipi di vaccino anti-pneumococco: il vaccino polisaccaridico (PPSV) e il vaccino coniugato (PCV). Il PPSV-23 è costituito dai polisaccaridi capsulari purificati dei 23 sierotipi più frequenti e induce una risposta immunitaria T-indipendente; questo vaccino è tuttavia poco efficace nei bambini di età inferiore ai due anni e non riduce la colonizzazione asintomatica. Inoltre, non stimolando la produzione di cellule della memoria, la risposta immunitaria tende a svanire nel tempo. Il PCV-10, il PCV-13 e il PCV-15 contengono antigeni polisaccaridici coniugati con proteine che stimolano la risposta dei linfociti T e la produzione di cellule della memoria, prevenendo anche la colonizzazione. Gli studi di immunogenicità che hanno valutato le risposte ai vaccini coniugati e polisaccaridico somministrati in serie hanno mostrato una migliore risposta immunitaria quando PCV-13 o PCV-15 sono somministrati per primi. [39] PCV-20, approvato dall’EMA nel 2022 come vaccinazione anti-pneumococcica unica, include coniugati polisaccaridi capsulari per i tredici sierotipi classici (1, 3, 4, 5, 6A, 6B, 7F, 9V, 14, 18C, 19A, 19F e 23F) già presenti nel precedente vaccino 13-valente, ai quali si aggiungono ulteriori sette sierotipi (8, 10A, 11A, 12F, 15B, 22F e 33F), che sono coniugati individualmente alla proteina CRM197 difterica non tossica. Questi ultimi sette sierotipi hanno provocato, nel biennio 2017-2018, circa il 30% dei casi di malattia invasiva pneumococcica negli adulti americani. [40, 41] 

Attualmente, i Centers for Diseases Control and Prevention (CDC) americani consigliano di vaccinare gli adulti di età 65 anni e i soggetti fragili di età >18 anni con una singola somministrazione di PCV-20 o con una dose di PCV-15 seguita a distanza di almeno 8 settimane da una dose di PPSV-23; nei pazienti già vaccinati con PCV-13 o PPSV-23, è consigliato comunque effettuare una rivaccinazione a distanza con PCV-20 a distanza di almeno 1 anno (o di almeno 5 anni se hanno ricevuto entrambi i vaccini in sequenza). [42]

Covid-19. Il SARS-CoV-2 è un coronavirus responsabile della pandemia che dal 31 Dicembre 2019 ha provocato quasi 7 milioni di morti in tutto il mondo. Sebbene l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) abbia dichiarato finito lo stato d’emergenza sanitaria per Covid-19 il 5 Maggio 2023, ancora oggi sono notificati circa 200.000 casi e 1000 morti ogni settimana, e la pandemia appare ben lungi dalla fine. [43, 44] Sono maggiormente a rischio di sviluppare complicanze, in primis polmonite e insufficienza respiratoria, i soggetti anziani, immunocompromessi, affetti da patologie croniche cardiovascolari, polmonari, neurologiche, epatiche, nefrologiche, metaboliche, neoplasie, obesità e le donne in gravidanza. [45-49] 

Fin dall’inizio della pandemia da SARS-CoV-2, la comunità scientifica, le istituzioni e le case farmaceutiche hanno concentrato ogni sforzo nella ricerca di vaccini e terapie per prevenire l’infezione e la progressione della malattia. Diverse tecnologie sono state impiegate nella produzione dei vaccini, dal più convenzionale utilizzo di virus inattivato, subunità proteiche o vettore virale fino a più moderne tecniche di ingegneria molecolare che hanno portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Attualmente, nove vaccini per il Covid-19 sono stati approvati nel mondo, con tempi record di produzione e comprovata efficacia nei trial clinici e negli studi di real-life: un successo incontestabile che ha permesso di ridurre l’entità dei contagi e la severità dell’infezione da SARS-CoV-2. [43,50-52] Tuttavia, la rapida emergenza di numerose varianti ha provocato nuove ondate di contagi in questi anni e ha sottolineato la necessità di un aggiornamento continuo nella produzione dei vaccini al fine di immunizzare la popolazione, specialmente quella anziana e fragile, contro le nuove varianti emergenti del virus. A tal fine, sono stati introdotti a partire dall’autunno del 2022 i vaccini a mRNA bivalenti, efficaci contro le varianti Omicron BA.4/BA.5 maggiormente circolanti in quel momento. [53,54] Il Ministero della Salute italiano nell’aggiornamento circolare intitolato “Interventi in atto per la gestione della circolazione del SARS-CoV-2 nella stagione invernale 2022-2023”, elaborato con il supporto dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), ha sottolineato come obiettivo della campagna vaccinale la protezione prioritaria dei pazienti anziani e fragili, il completamento di almeno un ciclo di vaccinazione in tutta la popolazione e la somministrazione del second booster con vaccino bivalente alle persone di età uguale o maggiore di 60 anni, agli adolescenti e adulti con patologie concomitanti/preesistenti, operatori e ospiti dei presidi residenziali per anziani, operatori sanitari e donne in gravidanza. Nei soggetti già sottoposti al secondo richiamo con un vaccino monovalente, è possibile somministrare un’ulteriore booster con vaccino bivalente dopo almeno 120 giorni. [55] L’efficacia contro i sotto lignaggi attualmente prevalenti, tuttavia, rimane controversa: secondo un’indagine sulla popolazione statunitense, il booster si è dimostrato efficace nel prevenire quasi la metà dei casi di malattia da variante XBB [56]; uno studio pubblicato a Febbraio 2023 ha tuttavia riportato una scarsa attività neutralizzante indotta dal vaccino bivalente nei confronti delle varianti BA.2.75.2, BQ.1.1 (la cosiddetta “Cerberus”) e XBB.1. [57]

Per alcune categorie di pazienti il vaccino anti-SARS-CoV-2 si è dimostrato fin dall’inizio meno efficace rispetto al resto della popolazione: in una coorte di pazienti oncologici, solo il 39% dei pazienti con tumori solidi e il 13% dei pazienti con malattie oncoematologiche hanno risposto alla prima dose di vaccino a mRNA, rispetto al 97% di risposta nella popolazione generale; la seconda dose di vaccino, tuttavia, ha permesso di ottenere una risposta anticorpale nel 95% dei pazienti oncologici. Un’elevata percentuale di soggetti “non responder” è stata osservata anche nella popolazione dei pazienti trapiantati, HIV positivi e con disordini autoimmuni. [58-61] In questi soggetti la profilassi della malattia da SARS-CoV-2 deve necessariamente contemplare, oltre alla somministrazione periodica di dosi booster di vaccino, altri strumenti di immunizzazione passiva come l’impiego di anticorpi monoclonali neutralizzanti. 

A che punto siamo in Italia?

La vaccinazione è una misura vantaggiosa in termini di gestione delle risorse sanitarie ed efficace nel garantire una riduzione del carico di malattie prevenibili, evitare i rischi di grandi focolai e contribuire all’equità sanitaria per le persone appartenenti a gruppi ad alto rischio. l Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale (PNPV) 2017-2019, tuttora vigente, identifica l’offerta gratuita delle vaccinazioni per l’adulto in base al rischio infettivo, legato sia all’età sia ad eventuali malattie o terapie concomitanti: tali indicazioni rappresentano quindi dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) validi su tutto il territorio nazionale. [62] Sebbene le strategie vaccinali siano ben codificate per la maggior parte dei soggetti a rischio, persiste una notevole difficoltà a raggiungere i tassi di copertura desiderabili. Per esempio, se per l’influenza è stata prefissata una copertura del 75% come obiettivo minimo perseguibile e del 95% come obiettivo ottimale, nella stagione 2021-2022 solo il 20,5% della popolazione italiana ha ricevuto il vaccino, con un’adesione maggiore nella fascia di età 65 anni che tuttavia si è attestata al 58,1%. (fig. D) [63]

Rimangono estremamente bassi anche i tassi di copertura vaccinale per lo Zoster e per i batteri capsulati (meningococco e pneumococco) nei soggetti anziani e nei fragili. Dati più ottimistici giungono dai report sulla vaccinazione per Covid-19: attualmente in Italia il 90% circa della popolazione di età superiore ai 12 anni ha completato il ciclo vaccinale, e l’85% della popolazione candidata ha ricevuto una dose booster. Tuttavia, solo il 17% degli aventi diritto ha effettuato il secondo richiamo (la cosiddetta “quarta dose”), con una adesione massima (45,6%) nella fascia di età 80 anni, in cui circa il 6% ha ricevuto anche il terzo richiamo. [64]

I principali ostacoli al raggiungimento degli obiettivi vaccinali prefissati consistono nell’assenza di strategie vaccinali codificate per condizione di rischio piuttosto che per età, nella difficoltà nell’arruolamento dei soggetti fragili/immunodepressi a livello dei Dipartimenti di Prevenzione territoriali, nella focalizzazione sul percorso di cura piuttosto che sulla prevenzione di malattie infettive anche potenzialmente letali. Per tali motivi, la Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT) e la Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SItI) hanno varato una proposta operativa in più punti, che include la creazione di percorsi vaccinali ad hoc per pazienti affetti da patologie croniche o immunodepressione presso i rispettivi luoghi di cura (enti ospedalieri, residenze sanitarie assistenziali, centri specialistici, ambulatori di medicina generale), ai quali deve essere garantito l’approvvigionamento dei vaccini e l’accesso all’Anagrafe Vaccinale per consultare il fascicolo vaccinale di ogni paziente e registrare le vaccinazioni effettuate. In quest’ottica, la creazione di percorsi diagnostico terapeutici assistenziali (PDTA) regionali dedicati viene individuata come la strategia più idonea a raggiungere gli obiettivi di immunizzazione dei pazienti fragili e immunocompromessi. [62]

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